Houdini su Wired.it
La storia di Houdini, l’illusionista che scopriva le bufale
Harry Houdini è stato illusionista, attore, aviatore e scrittore, ma è stato anche un appassionato debunker di presunti fenomeni paranormali. Una crociata che gli farà guadagnare e perdere l’amicizia di Sir Arthur Conan Doyle.
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Il 24 marzo 1874 del nasceva a Budapest Erik Weisz, ma il nome con cui diventerà noto prima in America e poi in tutto il mondo è Harry Houdini. L’arte della fuga, detta escapologia, faceva già parte da secoli dei repertori dei maghi, ma fu Houdini a farne specialità a sé stante dell’intrattenimento. Dalla fine dell’Ottocento fino alla sua morte (la notte di Halloween del 1926) tenne le folle col fiato sospeso mentre evadeva da complicate e scenografiche prigionie, fossero corde, manette, camicie di forza, carceri, casse sommerse e sepolture.
Icona della modernità
Sarebbe però riduttivo parlarne solo come di uno straordinario illusionista. A quasi cent’anni dalla morte il nome di Houdini è un nome noto ben oltre la cerchia dei maghi che ne hanno raccolto il testimone. È stata una figura fondamentale del ventesimo secolo, e la sua carriera andò oltre quella di illusionista. Fu, per esempio, anche un aviatore, un attore e cineasta, un pubblicista, nonché un maestro dell’autopromozione. Houdini infatti ben comprese la necessità di creare quello che oggi chiameremmo personal brand, e sapeva come usare lo storytelling non solo negli spettacoli, ma anche sui libri e sui giornali.
Nonostante l’assenza di istruzione formale (anche per questo i suoi libri furono scritti grazie a coautori e ghostwiter) Houdini era un formidabile autodidatta, che aveva accumulato una impressionante biblioteca personale (metà fu donata alla Biblioteca del Congresso, mentre tutto il resto è ora di proprietà dell’ erede David Copperfield). E tra le sue tante carriere ci fu anche quella di debunker di fenomeni paranormali. Una crociata da cui nacque e si dissolse una sincera amicizia: quella con lo scrittore Arthur Conan Doyle, papà di Sherlock Holmes.
Lo scettico e il credente
Nella biografia Houdini, mago dell’impossibile (Codice, 2018) lo scrittore e studioso dell’illusionismo Massimo Polidoro dedica ampio spazio a questa strana amicizia. Nel 1920 Houdini, che desiderava frequentare l’élite intellettuale, inviò il suo libro The unmasking of Robert-Houdin (1909) a Sir Arthur Conan Doyle. Nel libro Houdini smontava, ma senza troppo rigore, un mago che aveva idolatrato tanto da ricavarne il suo nome d’arte (secondo l’escapologo, Houdini avrebbero dovuto leggersi “come Houdin”). Era convinto infatti che Robert-Houdin avesse plagiato numeri di altri artisti. In ogni caso il libro piacque a Conan Doyle, tranne per il fatto che gli smontava due famosi medium, i fratelli Davenport. A differenza di Sherlock Holmes, Conan Doyle era ben poco scettico.
Era un fervente seguace dello spiritismo, e sulla realtà dei fenomeni più bizzarri scommetteva la sua reputazione, come successe con la bufala delle fate di Cottingley. Houdini rispose con molta diplomazia, dichiarandosi uno studioso di mente aperta e interessato ad approfondire questo tipo di fenomeni. Vincerà la fiducia e l’amicizia di Doyle e, come scrive Polidoro:
“Successivamente all’incontro con Sir Arthur, Houdini si getterà mente e corpo nel mondo dello spiritismo e, dopo essersi fatto un nome come il Re dell’evasione, riuscirà a crearsi una nuova carriera del tutto inedita nel ruolo di Re dello sbugiardamento.”
Un mago tra gli spiriti
Grazie allo scrittore, Houdini ebbe un più facile accesso alle dimostrazioni dei medium più esclusivi dell’epoca, dei quali poi scoprì i trucchi più o meno banali. Non nascose mai lo scetticismo all’amico. La spiegazione più parsimoniosa era che i medium usassero trucchi. Lo sapeva perché lui stesso agli inizi della carriera si era improvvisato fenomeno paranormale per sbarcare il lunario. Conan Doyle dal canto suo, che si era avvicinato allo spiritismo dopo la morte del figlio in guerra, pensava che Houdini stesso avesse facoltà paranormali, e non lo volesse ammettere.
Ma più l’illusionista diventava famoso come debunker, più l’amicizia con Conan Doyle si logorava. Come se non bastasse la moglie di Doyle, Jean Elizabeth Leckie, si riteneva medium. Cercò di mettere Houdini in contatto con la madre, ma l’illusionista dovette spiegare all’amico perché non poteva accettare quelle dimostrazioni (frasi generiche su un biglietto durante la trance) come prova.
Un premio per il fenomeno paranormale
Nel 1923 gli spiritisti affascinavano le folle quanto Houdini, non era un fenomeno isolato. Mentre l’amicizia con Conan Doyle era ormai agli sgoccioli, la rivista Scientific American decise di entrare nel dibattito sulla genuinità dei fenomeni. Del resto Conan Doyle non era il solo intellettuale a mettere in prima linea la sua reputazione. Anche nel mondo scientifico c’era chi prendeva seriamente medium e affini, e la rivista se ne era occupata. Ora offriva 2500 dollari a chi avrebbe prodotto entro due anni una fotografia psichica in condizioni di controllo e altri 2500 per qualunque altro fenomeno paranormale. Il comitato di giudici era composto da scienziati ed editor, e naturalmente da Harry Houdini.
Nessuno è mai riuscito a vincerlo, nemmeno il nostro Nino Pecoraro, un ragazzo che evocava lo spirito della collega Eusapia Palladino e, dietro un paravento, suonava diversi strumenti nonostante fosse legato a una sedia. Quando fu legato da Houdini i fenomeni sparirono. Ma le decisioni del comitato sono state più burrascose di quanto si potrebbe pensare. L’unico componente che aveva le conoscenze giuste per quel tipo di indagine era Houdini, eppure spesso il comitato procedeva ai test in sua assenza. In particolare i nodi verranno al pettine con complicato caso di Mina Crandon, nota come Margery. Malcolm Bird di Scientific American aveva una relazione con la famosa medium, e aveva già pubblicizzato il suo successo fino a che non intervenne Houdini. Ne nacque una rivalità che si trascinò oltre la scadenza del premio.
Houdini racconterà le sue avventure nel mondo dello spiritismo in A magician among the spirits, uscito nel 1924. Ma fino alla fine della sua vita dedicherà anima e corpo a smascherare gli spiritisti, tra uno spettacolo e l’altro. Era fermamente convinto, infatti, che questo tipo di credenze costituissero un pericolo tangibile, che potessero addirittura fare impazzire. Istituirà anche lui un premio: 10000 dollari a chiunque dimostri un fenomeno che lui non poteva riprodurre. Polidoro nota però che questo premio non aveva senso dal punto di vista scettico, perché sposta l’onere della prova. È il medium, o chi per esso, che invece deve accettare di esibirsi in condizioni controllate. È quello che fino al 2015 richiedeva il premio Randi, un milione di dollari rimasti senza vincitore.
Rosabelle
Si può dire che la morte di Harry Houdini sia fedele al personaggio. L’11 ottobre del ’26 si ruppe una caviglia durante uno spettacolo, ma continuò a esibirsi nonostante il parere dei medici. Il 22 ottobre fu raggiunto nel camerino del Princess Theater, a Montreal, da alcuni studenti che avevano assistito a una sua conferenza. Un tale di nome J. Gordon Whitehead gli avrebbe chiesto se sapeva davvero reggere pugni all’addome, come aveva raccontato. La risposta di Houdini fu presa come un invito a colpirlo, e il giovane scatenò una serie di pugni sull’illusionista. Stette male tutto il pomeriggio ma la sera si esibì ugualmente. Il giorno dopo, a Detroit, viene finalmente ricoverato. La rottura dell’appendice aveva fatto infezione, e non esistevano antibiotici. Prima di morire però concordò un codice con la moglie: con quelle parole, note solo a lei, un medium potrà dimostrare di essere in contatto con lui nell’aldilà, qualunque altra cosa è fasulla.
Non è detto che furono i pugni di J. Gordon Whitehead a uccidere Houdini, c’è chi ne parla come di una leggenda metropolitana. È molto raro infatti che l’appendice si possa rompere così. Forse era già successo quando incontrò lo studente, e da lì in poi sottovalutò i sintomi. In ogni caso ci sono ipotesi anche più fantasiose, come il fatto che sia stato ucciso dagli spiritisti. Di certo questi ultimi si presero una bella rivincita. Dopo la morte molti medium affermarono di avere evocato Houdini. Il numero più spettacolare è quello di Arthur Ford, che usò proprio il codice segreto stabilito tra Houdini e Bess. In realtà si scoprì che il codice, che ruotava intorno alla loro canzone preferita, Rosabelle, non era poi così segreto. Un bravo segugio avrebbe potuto mettere insieme i pezzi.
Ma il più divertente è opera del nostro Nino Pecoraro, che era stato smascherato anni prima da Houdini. Cercando di vincere un premio analogo, questa volta della rivista Science and Invention e finanziato da Bess, un amico di infanzia di Houdini e dal mentalista Josephe Dunninger, si presenterà alla seduta spiritica e dopo un’ora e mezza esclamerà:
“Ué, Dunninge: accà ci sta Udinì!“
La tradizione di evocare Houdini ad Halloween, però, è rimasta anche nel mondo scettico.
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