Le Meccaniche della Magia di Lorenzo Paletti #intervista
Sinceramente ho qualche difficoltà a dire esattamente di cosa tratti questo libro, Le Meccaniche della Magia (Disponibile su Amazon https://amzn.to/3SJ9W1o), perché Paletti riesce a dare una marea di informazioni sia a livello scientifico sia proprio pratico. L’ho letto due volte proprio perché la mole di lavoro è immensa e si legge non solo facilmente, ma appassiona come se l’autore stesse chiacchierando informalmente con te invece di insegnarti moltissime nozioni fondamentali non solo per i prestigiatori perché molti concetti riguardano tutto il mondo dello spettacolo.
Ricchissimo di foto e illustrazioni è un lavoro mastodontico che l’autore consiglia a chi si avvicina a questa arte mentre per me lo dovrebbero leggere anche i veterani per (ri)scoprire o imparare molte nozioni che porterebbero a migliorare, qualora ci fosse bisogno, il loro lavoro.
Proprio perché è impossibile dire di cosa tratti questo libro (paradossalmente è più semplice scrivere quale argomento non tratti) ho posto a Paletti alcune domande. Già leggendo le risposte in questa intervista dovreste comprendere perché il suo libro vi sia indispensabile.
Qual è il tuo percorso di studio?
Ho una laurea magistrale in fisica ottenuta con due anni di ritardo. All’epoca avevo recentemente scoperto l’illusionismo e passavo più tempo manipolando carte che non sfogliando libri. Ma non mi pento delle mie decisioni (per quanto inconsapevoli).
Quando e come ti sei avvicinato al mondo della magia?
Ho cominciato a interessarmi di illusionismo piuttosto tardi intorno ai 17 anni. Dico piuttosto tardi perché — da ventenne — vedevo 14enni ben più abili di me.
Tutto è iniziato con un video su YouTube, in un’epoca in cui YouTube non era il leviatano di oggi. Sulla pagina principale, era pubblicizzato un video in cui un illusionista eseguiva un semplice three card monte. Ho guardato il video e, spinto dalla curiosità, sono andato alla ricerca della spiegazione. Dopo avere scoperto il segreto mi sono detto: “Ah, ma non è così complicato”. Da lì, un gioco ha tirato l’altro.
Come prestigiatore, sono cresciuto circondato da un’esplosione di contenuti sulla rete. Prima ancora di frequentare il club magico della mia città, sono diventato un seguace di siti come Ellusionist e Theory11, che all’epoca pubblicavano straordinari video istruttivi per principianti, perfetti per chi stava muovendo i primi passi. Ricordo ancora il video Kard Klub di Ellusionist, in cui Brad Christian spiegava un monte con due carte nelle mani dello spettatore per poi seguire diversi prestigiatori nelle loro performance pubbliche del gioco per migliorarle, evidenziando i loro errori e indicando soluzioni ai tipici problemi che affronta un illusionista alle prime armi.
In quegli anni, David Stone lanciava sul mercato il suo libro e i suoi video intitolati “The Real Secrets of Magic”, con spettacolari giochi commerciali semplici da perfezionare ed efficaci con il pubblico. Mi sono innamorato dei video di L&L, e in particolare delle collezioni di Greg Wilson, che con carte, monete e sigarette sembrava in grado di fare magia in qualsiasi momento.
I tuoi studi hanno influito sulla visione della magia o viceversa?
I fisici (tra i quali non mi annovero, considerato che non ho mai lavorato da fisico) cercano di capire come funziona la natura. Per farlo, utilizzano il metodo scientifico.
A ben vedere, lo scienziato e il prestigiatore lavorano su due fronti completamente diversi. Il fisico vuole spiegare come funziona il mondo, il prestigiatore vuole ingannare il suo pubblico. Il fisico cerca di essere oggettivo, mentre l’illusionista fa leva sulla soggettività della nostra percezione. Il fisico deve essere onesto (vale a dire: se il tuo esperimento non combacia con la tua teoria, devi ammettere che la tua teoria è sbagliata) mentre il prestigiatore è per sua natura disonesto. Infine, il fisico pubblica i risultati della sua ricerca perché tutti possano ripeterla. Al contrario, il prestigiatore conserva con cura il segreto delle sue illusioni proprio perché nessun altro possa presentare gli stessi (apparenti) miracoli.
In un certo senso, potremmo dire che anche nell’ambito dell’illusionismo mi è rimasto il tarlo del fisico di capire come e perché qualcosa funziona. Da una decina di anni porto nelle scuole il mio spettacolo didattico Scientifici Prestigi nel quale mostro come creare bei giochi di prestigio con la matematica e come gli illusionisti utilizzano la fisica nelle loro illusioni. Recentemente, però, ho cominciato a chiedermi: cosa succede nella testa di uno spettatore quando vede un gioco di prestigio?
Infine, benché c’entri poco con Le Meccaniche della Magia, la mia istruzione in fisica mi ha fornito le basilari conoscenze per la consultazione di articoli scientifici, che si sono rivelate fondamentale per scrivere il libro.
I prestigiatori temono che vengano svelati i trucchi perché l’effetto perderebbe di potenza e mistero. E’ davvero tutto racchiuso nel trucco?
Come scrivo nelle ultime pagine di Le Meccaniche della Magia (Disponibile su Amazon https://amzn.to/3SJ9W1o), sono convinto che il pubblico di un gioco di prestigio possa essere raggruppato in tre livelli.
Il primo livello è popolato dagli spettatori ignari che vogliono solo godere dell’inganno del prestigiatore. Per loro, l’illusione rimane inspiegabile. Questi spettatori tornano a casa con la genuina curiosità di capire come il prestigiatore sia riuscito a creare un momento apparentemente impossibile.
Il secondo livello è quello popolato dagli spettatori che hanno scoperto il segreto o sono convinti di averlo intuito correttamente. Per loro, il fascino del gioco di prestigio svanisce istantaneamente. Dopotutto, come spiego nel libro, un gioco di prestigio è efficace solo quando è sorprendente, misterioso e apparentemente soprannaturale. Ho il sospetto che anche i prestigiatori alle prime armi popolino questo livello. All’inizio, siamo tutti affascinati dalla tecnica e dal metodo più che dalla performance nel suo complesso.
Infine, c’è il terzo livello. Quello del prestigiatore esperto o dello spettatore che nutre un sincero interesse per la materia. Queste persone non solo conoscono il metodo dietro al gioco, ma capiscono anche perché quel metodo funziona. Ad esempio, quando guardo Derren Brown (e qui faccio evidentemente un esempio fuori da qualsiasi scala di misura), non godo solo della sua tecnica e dei metodi a cui fa ricorso, ma anche del modo in cui è riuscito a costruire una presentazione in grado di ingannarci con trucchi spesso banali dove il contesto e le emozioni suscitate nel pubblico sono più importanti del segreto di per sé.
Conservare il segreto è spesso fondamentale. Giustamente, la maggior parte degli spettatori popola il secondo livello, e non è interessata a comprendere a fondo quelle che chiamo le meccaniche della magia. Svelare il segreto a chiunque non farebbe altro che generare spettatori disillusi.
D’altro canto, rivelare un segreto evidenziando la complessità e genialità di un metodo può portare sul terzo livello qualcuno di questi spettatori. Penso ad esempio a Penn & Teller, esempi da manuale di prestigiatori che sono in grado di svelare un trucco (e magari anche in modo incompleto) pur evidenziando la raffinatezza e ricercatezza dei loro metodi.
Quanto siamo consapevoli delle possibilità dei nostri sensi e quanto invece le ignoriamo?
Siamo molto poco coscienti di quello che fa il nostro cervello. Dopotutto, cresciamo senza soffermarci a riflettere sui meccanismi che ci consentono di vedere il mondo, riportare alla mente un ricordo o prendere una decisione. Anzi, è quasi come se il nostro cervello facesse di tutto per nasconderci questi limiti.
Pensiamo ad esempio alla vista: abbiamo l’impressione di vedere con nitidezza tutto quello che ci circonda, ma in realtà mettiamo a fuoco una minima parte del campo visivo. Ogni volta che spostiamo lo sguardo, il cervello si rifiuta di elaborare le immagini raccolte dagli occhi, rendendoci ciechi. Infine vediamo solo una minima parte della radiazione elettromagnetica che ci circonda: siamo ciechi a raggi X, ultravioletti e onde radio. Ma non ci facciamo caso.
E non finisce qui. Il nostro cervello non sa cosa c’è fuori dal cranio, e fa del suo meglio per interpretare gli impulsi elettrici che gli vengono trasmessi dai sensi, ad esempio dai fotorecettori sulla nostra retina.
A questo punto, non possiamo fare a meno di porci una domanda: il nostro senso della vista si è evoluto per mostrarci il mondo come è realmente? Oppure il cervello si è evoluto in modo da fornirci i minimi strumenti necessari ad esplorare il mondo, minimizzando l’energia consumata per elaborare i segnali sensoriali? Se quello che sappiamo a proposito dell’evoluzione è corretto, molto probabilmente è vera la seconda ipotesi.
Possiamo fare un paragone con l’interfaccia grafica di un computer. Per un utente, sarebbe impossibile conoscere i meccanismi elettronici che stanno dietro ad ogni clic o ogni pagina visualizzata, quindi lo sviluppatore ci ha messo a disposizione una interfaccia grafica che ci permette di utilizzare il computer senza sapere come funziona realmente. Guardando la scrivania del mio portatile, non ho modo di sapere cosa succeda realmente all’hardware contenuto nella scocca del PC.
Allo stesso modo ipotizzo che la natura abbia evoluto i nostri sensi così da renderli una “interfaccia sensoriale” con il mondo. A partire da quello che vedo, ascolto, percepisco, non ho modo di sapere come funziona realmente ciò che c’è la fuori, ma i sensi mi danno gli strumenti necessari a sopravvivere.
Questi argomenti sono da tempo oggetti di studio da parte di psicologi e neurologi, ma negli ultimi decenni è sorto un particolare interesse accademico nei confronti dei giochi di prestigio. Infatti, scoprire quali meccanismi rendono illusivo un gioco di prestigio ci può permettere di capire cosa succede nella nostra testa in quei frangenti.
Pensando al tuo libro come analizzi le esibizioni dei prestigiatori quando vi assisti?
Ormai non riesco più a fare di meno di chiedermi: “Su quali falle della mente sta facendo leva questa gioco?”.
Io non ho grande esperienza con gli strumenti musicali, ma immagino che non ci sia grande differenza. Quando io vedo un bravo pianista penso solo: questo è un bravo pianista, e mi godo l’esecuzione musicale. Quando lo spettatore è invece un altro pianista che conosce le sottigliezze richieste per suonare lo strumento, immagino che non apprezzi solo il brano che viene suonato, ma anche la tecnica messa in pratica dall’esecutore.
Pensi che oggi ci sia maggior consapevolezza sull’importanza dei temi da te trattati nel libro da parte dei performer?
Per chi è interessato a questi temi, la letteratura non manca. Il problema è che buona parte della produzione accademica in questo settore è in lingua inglese, e per un pubblico internazionale può non essere così semplice accedere a quelle informazioni. Sta poi alla sensibilità di ogni esecutore capire quanto può essere interessante esplorare questi argomenti.
Secondo me non è solo fondamentale allo scopo di migliorare le proprie performance, ma anche incredibilmente interessante.
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