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Sleight di J.D. Dillard, recensione del film

Sleight di J.D. Dillard

Jacob Latimore e Storm Reid sono i protagonisti di un esperimento pop inizialmente fuorviante che però rivela altre virtù

Il termine sleight viene solitamente usato in inglese nella frase ‘sleight of hand’ (pronunciata come ‘slight of hand’), in riferimento alla destrezza digitale delle mani di una persona, qualità molto utile in svariate circostanze illusorie, un talento prezioso per i prestigiatori e i maghi. Quando sono questi ultimi ad essere ‘abili di mano’, viene detta ‘close-up’ o ‘micromagica’, uno spettacolo eseguito davanti a piccoli gruppi di spettatori situati in prossimità del mago, che intrattiene il suo pubblico usando le sue elevate capacità sviluppate per manipolare piccoli oggetti come carte, monete, dadi, bicchierini ecc. Per creare un’illusione divertente e / o capace di confondere, spesso viene accompagnata da una storia. Un sinonimo più o meno fedele è prestidigitazione, ma appaiono ovvi i motivi per cui il regista J.D. Dillard abbia optato per Sleight come titolo della sua pellicola d’esordio.

Il film pesca pesantemente da due tradizioni cinematografiche molto recenti e molto disparate: il dramma sociale proselitista e i fan film di supereroi dal budget molto contenuto. Il primo è un po’ l’ultima declinazione del melodramma vecchio stile, rivestitosi di importanza auto-impostasi. L’altro va forte su YouTube, ma non si può certo dire che questi prodotti possano solitamente avere ambizioni cinematografiche – fino ad ora.

sleight-posterSleight si concentra sulla vita di Bo, giovane mago di strada e prodigio dell’ingegneria di Los Angeles (Jacob Latimore), che per la morte precoce della madre non solo diviene l’unico custode della sorellina Tina (Storm Reid), ma sembra anche destinarlo ad una vita di povertà. Rinuncia così al College per dedicare il suo talento all’arte della magia, entusiasmando il pubblico che assiste alle sue performance, ma deve far quadrare il bilancio e così utilizza le sue abilità per spacciare droga per il boss del quartiere, Angelo (Dulé Hill). Tuttavia, quando Bo si innamora di Holly (Seychelle Gabriel), un’adolescente che ha bisogno di sostegno, decide che è giunto il momento di uscire dal business della droga, una decisione che ovviamente non piace al pericoloso Angelo, che decide così di minacciare la sua famiglia. Bo deve quindi pensare a come impiegare i giochi di prestigio e la sua mente brillante per uscire dalla scottante situazione.

Ad addentrarsi troppo nella trama si incapperebbe nello spoiler, quindi diciamo soltanto che il film – in particolare i suoi trailer – possono essere a posteriori tacciati di essere delle esche di marketing un po’ subdole, piazzate lì – forse dal produttore esecutivo Jason Blum della Blumhouse – per attirare spettatori. Se vi siete approcciati basandovi soltanto sulla locandina meglio, per tutti gli altri, è invece possibile che si aspettino una sorta di storia delle origini di un supereroe di strada, o comunque qualcosa di esplicitamente soprannaturale, e non un ruvido dramma urbano. Eppure, per la gran parte dei suoi 89′, questo è ciò che si ottiene. All’inizio ci si potrebbe quindi sentire un po’ … ingannati, ma dopo aver compreso la situazione e conosciuto i personaggi, la trama che prova a piegare il genere si rivela qualcosa di particolare e forse meno scontato.

Latimore, già visto in Maze Runner e Collateral Beauty, regge praticamente da solo Sleight, grazie a una presenza sufficientemente magnetica e vulnerabile, come suggerisce il poster di Harry Houdini appeso nella sua camera da letto. Ogni decisione che il protagonista prende, buona o – soprattutto – sbagliata, appare organica e tragicamente realistica. Calandolo in uno scenario da periferia americana disperata, Bo trova conforto nella sua nuova fidanzata, nella sorellina e nella vicina di casa (Sasheer Zamata), tre donne che cercano di salvarlo dall’abisso in cui sta lentamente scivolando, tra debiti e spedizioni punitive. Eppure non precipita. Non per mancanza di amore o per tracotanza, che di solito diventano il fulcro motore di film come questo, ma perché il desiderio di Bo di essere soltanto chi è davvero si contrappone a quello che il suo mondo si aspetta da lui. Non trovando alcuna speranza nella realtà, il ragazzo trova infine una qualche forma di fuga nel fantastico, nell’inaspettato, nell’eroico.

sleight 2017 filmLa passionalità messa nel film brilla nel vivo equilibrio tra sottile dramma, calore familiare e nella proverbiale necessità che si fa virtù. Dillard sfrutta infatti al meglio il limitato numero di ambientazioni a disposizione concesse dal budget di 250.000 dollari, dimostrando come si possa gestire dignitosamente un set composto da due camere da letto e un bagno e renderlo dinamico o claustrofobico all’occorrenza, e ambienta quasi tutto il film di notte, scelta che rende l’atmosfera generale ulteriormente oppressiva e foriera di presagi.

Sleight è comunque lontano dalla perfezione e soffre di alcuni problemi che altrimenti lo avrebbero reso una piccola gemma da tramandare. Il più grande è forse la scelta di Hill (regular della serie Psych), che interpreta un piuttosto stereotipato gangster emergente. La sceneggiatura, dello stesso Dillard, gli permette di compiere azioni anche spregevoli (mai purtroppo mostrate sullo schermo però) e, nonostante la barba curata alla 50 Cent e il catenaccio d’oro da ghetto, la sua faccia pulita e la mimica non possono nascondere la scarsa dimestichezza dell’attore con i ruoli minacciosi. Anche il finale, in cui si dipana il climatico scontro decisivo (senza troppo dispendio di effetti speciali, per fortuna), lascia l’amaro in bocca per quelle che erano state le premesse. Più i poteri di Bo e l’azione si fanno consistenti, più le emozioni rimpiccioliscono.

In definitiva, Sleight è un mix di ingredienti ampiamente visti prima, ma quasi mai nello stesso film, certamente non in questa misura. È un audace esperimento pop. Uno di quelli per cui il budget scheletrico serve solamente a vendere la sua serietà. È il genere di pellicola che lascia sperare che il futuro del cinema indipendente non sia così cupo come a volte può sembrare.

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Andrea Clemente Pancotti

Principalmente sono io Andrea Clemente Pancotti: infanzia rovinata dai fascicoli di “STUPIRE!” di Carlo “Mago Fax” Faggi. Abbandona l’Arte per poi riscoprirla alla soglia degli ‘anta.“. Ora il team si e’ allargato, siamo comunque un gruppo di amatori, seriamente innamorati della Magia…

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