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Supermagic: Incantesimi #recensione #review

La recensione si riferisce alla prima serata e non so se ci siano stati i possibili impasse che accadono spesso alla prima di uno spettacolo o forse il doversi aggiustare in un teatro nuovo, ma ci sono state numerose problematiche.

La prima su tutte, che è una legge basica del mondo dello spettacolo, non si possono vedere le persone muoversi in quinta o spesso essere proprio a vista. Forse questo non ha aiutato un’infelice scelta di una specie di sipario verticale nero (che lasciava molto spazio con le quinte laterali) sormontato da una bruttissima americana a vista su cui erano posizionate le luci.

Proprio le luci sono state il problema maggiore; spesso sparate negli occhi degli spettatori (l’inizio del numero di Triggiano davano proprio fastidio e io ero seduto nelle ultime file) e spesso (quelle verticali posizionate in sfondo) in movimento continuo da distrarre l’attenzione dal performer.

Sinceramente poi vedere le luci a vista è davvero molto antiteatrale perché distoglie dalla suggestione e dalla magia che è la base di fascinazione di qualsiasi atto teatrale.

La scaletta presentava alcune pecche rendendo un primo atto nettamente superiore al secondo e gli intermezzi (per il cambio scena) davvero noiosi e ridondanti. Nessuno ha ben compreso la storia che il coniglio umano e la donna volessero narrare. Ho rimpianto gli anni precedenti dove, per dare appunto il tempo di sistemare la scena, ad intrattenerci c’erano Matteo Fraziano e Raffaello Corti.

Junwoo Park ha aperto la serata. Per chi, come me era nelle file in fondo, per la tipologia di teatro e posizionamento delle poltroncine purtroppo perdeva molte sfumature della sua esibizione che è stata davvero geniale. La sua manipolazione era tutta basata su suoni, ritmo musicale e un abbassamento di suono o alzamento a seconda del quantitativo di carte tenute in mano. Un susseguirsi di carte di ogni colore inesauribili e con un ritmo e una bravura tecnica davvero notevole. Come rinnovare intelligentemente un tipo classico di performance.

Forse proprio per chi era in fondo di lato al palco c’erano due schermi dove ogni tanto comparivano le immagini di ciò che accadeva sul palco o in sala inframmezzati da animazioni digitali svincolate dal contesto.

A seguire Ding Yang. E’ difficile spiegare a parole questo numero perché qualsiasi parola sarebbe sterile per descrivere questo poetico atto dove l’eleganza dell’artista (in una fasciatissima tuta nera), le sue idee, le movenze da ginnastica artistica e la produzione di colombe creavano un tutt’uno strabiliante, sempre molto essenziale e raffinato.

Quando ha fatto la ruota e dai piedi sono comparse le colombe sarei scattato in piedi per applaudirla. Un’estetica orientale sicuramente che ci ha trasportato (anche per il suo supporto scenografico) in un altro mondo. Avessi scelto io la scaletta l’avrei messa a chiudere la serata.

Thommy Ten & Amélie Van Tass hanno presentato un bel numero di mentalismo dove Ten era tra il pubblico in cerca di oggetti e Amélie sospesa su un’altalena in mezzo al palco. Spesso Ten si limitava a tenere gli oggetti in mano senza parlare e la mentalista li indovinava. Qui c’è stato solo il problema che parlavano unicamente in inglese (ci sarebbe voluto accanto un assistente che traducesse) e, per quanto fosse un inglese ottimo e chiaro, molti del pubblico non riuscivano a seguire. Questo alla lunga ha portato più che a una crescita di ritmo (in base alla difficoltà delle specifiche da indovinare) a divenire una sorta di costante ripetizione dell’effetto.

A chiudere il primo tempo Gaetano Triggiano che ha presentato i suoi cavalli di battaglia (compresa la Spiker che aveva fatto anche Ottavio Belli nella precedente edizione di Supermagic) e una bella versione del ventilatore.

Il secondo atto si è aperto con il patron di casa Remo Pannain che ha eseguito il classico numero delle corde che poi faceva anche Timo Marc dopo di lui seppur qui contestualizzato in un divertente numero di animazione prima televisiva e poi su schermo. Ritmo, sorriso e divertimento.

Samuel ha un numero che è un classico come il procione di Scimemi, ma è talmente studiato (proprio come quello di Scimemi) alla perfezione che la risata scatta immediata e spontanea come se si vedesse per la prima volta. Al di là dell’incredibile bravura tecnica di ventriloquia Samuel è uno che il palcoscenico lo domina senza problemi, ritmo di battuta, di sguardi di movimenti studiati alla perfezione e quando chiama i due volontari sul palco fa in modo che loro siano i primi a divertirsi e a non subire l’esibizione. Straordinario. E’ sempre un grande piacere assistere alle sue esibizioni.

A chiudere la serata le grandi illusioni di Tim Silver. Qui si è riproposto il problema dello scorso anno dove nel primo atto Ottavio Belli era scomparso dal palcoscenico per ricomparire in sala (qui Triggiano e la sua assistente) e poi nella seconda parte dello spettacolo l’aveva fatto Erix Logan (e quest’anno l’assistente di Silver). Inoltre Silver ha presentato due grandi illusioni con ulteriore ripetizione di effetto dove a sorpresa la sua assistente scompariva e al suo posto c’era uno dei due assistenti di scena suoi personali.

Si segnala un parterre pieno di prestigiatori come se si fosse trattato di un convegno. Due nomi su tutti: il maestro Silvan e di Arturo Brachetti.

Consulenza registica: Piero Di Blasio

Testi e direzione artistica: Remo Pannain

Produzione e promozione: Simone Angelini

Disegno luci e direzione tecnica: Paolo Maria Jacobazzi

Costumi: Sarah Taschin

Direzione di scena: Gabriele Testa

Assistenti di scena: Daniele Manfucci e Martin

Assistenza tecnica: Davide Spada

Assistenza tecnica ai prestigiatori: Matteo Babini

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